Posso licenziare la colf o la badante dopo la maternità?
La maternità è uno degli eventi più tutelati nel rapporto di lavoro domestico. Dopo il parto, però, molti datori di lavoro si chiedono cosa accade una volta terminato il periodo di protezione obbligatoria e se sia possibile risolvere il rapporto. Facciamo chiarezza, evitando errori.
Durante la gravidanza, la maternità e nei tre mesi successivi al parto il licenziamento è vietato. Successivamente può essere ammesso, ma con regole precise e con un preavviso rafforzato previsto dal CCNL.
Le regole illustrate si applicano a colf e badanti, sia conviventi sia non conviventi.
1Il divieto di licenziamento durante la maternità
Nel lavoro domestico il datore di lavoro non può licenziare la lavoratrice:
- durante la gravidanza;
- durante il periodo di congedo di maternità;
- nei tre mesi successivi al parto.
Si tratta di un divieto automatico, che opera indipendentemente dalle mansioni svolte o dall’organizzazione familiare.
2Dopo i tre mesi: il licenziamento è sempre vietato?
Trascorso il periodo di tutela obbligatoria, il licenziamento non è più vietato in modo assoluto.
Questo non significa, però, che il datore di lavoro possa interrompere il rapporto senza conseguenze o cautele.
Finita la tutela non equivale a “posso licenziare perché è rientrata dalla maternità”.
3Il preavviso raddoppiato previsto dal CCNL
Il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro Domestico, all’articolo 40, prevede una tutela aggiuntiva.
Se il datore di lavoro intima il licenziamento prima del trentunesimo giorno successivo al termine del congedo di maternità, i termini di preavviso sono raddoppiati.
In alternativa, dovrà essere corrisposta un’indennità sostitutiva di preavviso di importo doppio.
Il nuovo CCNL contiene ulteriori previsioni sulla maternità, ma è attualmente in attesa della firma ministeriale. Fino a quel momento si applicano le regole consolidate dell’articolo 40.
4Quando il licenziamento può essere legittimo
Il licenziamento può essere considerato legittimo se fondato su motivazioni oggettive e reali, estranee alla maternità.
- cessazione dell’assistenza (ad esempio decesso dell’assistito);
- mutamento strutturale delle esigenze familiari;
- impossibilità concreta di proseguire il rapporto.
La maternità comporta la sospensione del rapporto di lavoro. Durante tale periodo la lavoratrice non presta attività lavorativa e non è a disposizione del datore di lavoro.
Poiché la convivenza nel lavoro domestico è strettamente collegata alla prestazione lavorativa, in assenza di lavoro non sussiste un obbligo automatico di mantenere vitto e alloggio, salvo diverso accordo tra le parti.
In concreto, durante la maternità la badante convivente non è tenuta a permanere nell’abitazione del datore di lavoro e la famiglia può organizzare una sostituzione, utilizzando anche la stanza normalmente destinata alla convivente.
La tutela della maternità riguarda il rapporto di lavoro e il diritto alla conservazione del posto, ma non si traduce in un obbligo di ospitalità continuativa presso l’abitazione del datore.
La famiglia può quindi organizzare una sostituzione e utilizzare la stanza per la lavoratrice sostitutiva.
6Errori da evitare
- licenziare subito dopo la fine del periodo protetto senza motivazioni;
- confondere la fine del divieto con libertà assoluta di recesso;
- non rispettare il preavviso raddoppiato;
- basare la decisione solo sull’evento maternità.
7Conclusioni
Nel lavoro domestico la maternità è fortemente tutelata. Dopo il periodo obbligatorio il licenziamento può essere ammesso, ma solo nel rispetto delle regole contrattuali e con motivazioni reali.
La gestione corretta di questi casi tutela la lavoratrice e mette al riparo il datore di lavoro da contestazioni future.